
C’era una radio nella cucina di casa dei miei. Stava sul mobile, vicino alla televisione. E poi su quel mobile c’erano la scatola di latta per i biscotti, i vasi con i fiori a primavera e poche foglie verdi durante i mesi freddi, e un orologio, ma era attaccato alla parete sopra il mobile.
Nei pensili sopra la stufa, mia madre teneva la Nutella e i barattoli dei pomodori e le conserve e le confezioni della pasta e poi le latte dei legumi. Poi nella cucina c’era anche un frigorifero bianco con la maniglia di acciaio e dentro i ripiani a griglia anch’essi bianchi. Non era ricoperto dello stesso materiale dei mobili della cucina. Era lì, bianco con la marca color oro incollata e scritta a lettere piccole e la maniglia di acciaio a far compagnia alle lettere.
Nel frigo, latte e formaggi e salumi. Io facevo colazione col latte e i biscotti. Il latte non mi è mai piaciuto, mi faceva venire il mal di pancia. Allora, ci mettevo il cacao oppure l’Ovomaltina. Ma il latte non mi è mai piaciuto lo stesso.
Alla radio mia madre sentiva le canzoni mentre faceva le pulizie. Mia madre ha molto metodo quando fa le pulizie. Ha una passione per l’ordine e la casa deve essere sempre pronta per ricevere ospiti. A casa mia non è venuto mai nessuno. Ma mia madre ha sempre pensato che la casa dovesse essere pronta per ricevere ospiti.
La mattina quando non c’era scuola, prima di scendere in giardino, io facevo colazione col latte che non mi piaceva e il cacao e l’Ovomaltina e ascoltavo le canzoni dalla radio.
Qualche volta non mangiavo i biscotti e mangiavo invece pane e cioccolata. Che poi la cioccolata era la Nutella. Quindi mangiavo pane e Nutella. La pubblicità della Nutella su Topolino la faceva Sandro Mazzola, il calciatore dell’Inter e della Nazionale che aveva i baffi e pochi capelli e che però era Mazzola, il figlio dell’altro Mazzola morto a Superga insieme ai suoi compagni del Torino che era invincibile e dopo Superga non ha vinto più, o quasi.
Quasi, perché poi il Torino comprò i gemelli del gol e vinse lo scudetto e aveva in panchina il sergente di ferro Gigi Radice che poi venne alla Roma ma era dopo quello che sto raccontando adesso.
Io, insomma, un giorno alla radio ho sentito una canzone e la cantava Gianni Morandi. Ho scoperto dopo che era la colonna sonora di un film famoso. Il film si chiamava Il Padrino ma io questo non lo sapevo. Un film che è durato tre film per finire e che parla di italiani in America e della loro famiglia e che alla fine si sparano fra di loro.
La canzone la cantava Gianni Morandi, ma anche Johnny Dorelli e anche Ornella Vanoni perché è una canzone meravigliosa e tutti volevano cantarla. Però io quel giorno alla radio l’ho sentita che la cantava Gianni Morandi e quando la ascolto, la ascolto sempre con la sua voce.
Gianni Morandi nel 1972 era già Gianni Morandi, come oggi. Nel 1972 a me mi piaceva anche Massimo Ranieri che era già, anche lui, Massimo Ranieri, come oggi. Io Massimo Ranieri l’ho visto al cinema all’aperto sul lago che era estate e si andava tutti con le sedie portate da casa e con la giacca sulle spalle perché al lago anche d’estate dopo cena fa fresco e Massimo Ranieri faceva Metello e c’era questa musica bellissima di Ennio Morricone.
E poi Massimo Ranieri, l’ho visto fare anche Salvo D’Acquisto e mi ricordo che ho pianto e che non l’ho più rivisto da allora perché se ci penso mi viene da piangere pure ora. E guardando Salvo D’Acquisto ho capito che la guerra è brutta e che bisogna essere gentili anche se tutti intorno non lo sono.
Gianni Morandi era gentile, cantava e sorrideva, e poi Parla più piano sembra la Cavalleria Rusticana e ti travolge e lui forse nemmeno la canta più oggi però a me piacerebbe ascoltarla che la canta solo per me che sembra il karaoke e invece è solo la ruota del tempo che corre all’indietro che mica sono così sicuro che ho voglia di crescere.
Che io il ricordo del pane e Nutella e poi di quella melodia e poi del rumore dei muratori che lavoravano perché io avessi una stanza tutta per me e bevevano il caffè tutti bianchi di polvere, ecco io vorrei che quel ricordo, vorrei che non fosse un ricordo.